Una convinzione non è solo un'idea che la mente possiede, è un'idea che possiede la mente.
(Robert Oxton Bolt)


Scampoli di me, scampati
a discapito di tutto,
a uno scalcinato lutto.

Questo spazio strappato alla rete è un frutto del caso, lo riempio per raccontare e raccontarmi, ma si prende poco sul serio.



mercoledì 30 marzo 2011

Nel mondo di Brian

Ebbene sì: i pochi di voi che m'hanno già letto, si ricorderanno di questo titolo.
E' un vecchio racconto, riproposto anche qui.
Perché? Be', l'ho riletto e sistemato, punto primo. Secondo: credo che sia l'unica cosa decente che ho mai scritto. Terzo: credo sia l'unico racconto decente che mai scriverò, dato che ormai non m'interesso più di questa forma d'arte. Non che mi manchino le idee, semplicemente è un'attività che non sento più "mia". Passatemi queste frasi da poetastra.
Il primo intervento di questo sconclusionato blog è, quindi, un "già visto".
Ebbene sì.
Ma non abituatevici.
Ai post, intendo, non ai racconti riproposti...




Nel mondo di Brian


Notte. Ombre lunghe sull’asfalto.

Non appena entrai in quello squallido bar capii cosa stavo davvero cercando. Fino a quel momento, infatti, m’ero limitato a vagare per i vicoli bui della città, senza meta. Varcando la soglia ero riuscito finalmente a dare un senso alla serata: dovevo scopare.
Credo che quel pensiero mi venne in mente guardando la splendida cameriera bruna saettare per i tavoli, il vassoio carico di pinte e alcolici vari.
Decisi di sedermi su di uno sgabello leggermente sghembo, e di vegetare davanti al bancone attendendo che un bicchiere di scotch mi scivolasse dalle abili mani della barista fino in gola.
La donna prese quasi immediatamente l’ordinazione, e mi versò quanto richiesto in un bicchiere non troppo pulito. La osservai per diversi minuti, estasiato, inebetito. Avevo voglia di farmi anche lei, lei e i suoi lunghi capelli neri, profondi e levigati come una macchia di petrolio, farmi lei e la cameriera, insieme. Mischiai gocce d’alcol a sordidi pensieri orgiastici.
Perso com’ero nelle mie fantasie, non m’accorsi di un gruppo di ragazzi seduti all’altro capo del bar, con lo sguardo fisso nella mia direzione. Stavano fumando un cilum e mi puntavano, sorridendo complici.
Tracannai lo scotch e li raggiunsi al tavolo. Attraversai il bar dribblando le pozze di vomito e liquidi organici vari e, senza dir nulla, li affiancai e mi sedetti. Mi porsero la pipa orizzontale con complice entusiasmo, che io accettai con altrettanto entusiasmo. Tirai più volte, gustandone il sapore.
Poi cominciai a ridere, e le mie risa si assimilarono indistintamente agli altri suoni del salone.
Gli occhi sondarono oltre la cappa di fumo figure prima non notate; dal momento che ero in botta potevo contemplare meglio la situazione, esservi partecipe: orde di ragazzini ammassati ai tavoli per un poker, persone barcollanti dopo il decimo giro di whisky, uomini strafatti abbandonati sugli sgabelli, come non avessero uno scheletro a sorreggerli, coppiette indaffarate negli angoli appartati, un uomo accoltellato vicino alla porta del cesso.
Ancora risate. Risate sguaiate.
Che figata.
Tuttavia, il cilum non mi aveva fatto dimenticare il primo pensiero della serata: l’abile barista dalla lunga chioma corvina, e la bella cameriera con il suo culo sodo, la voglia cieca di scoparmele entrambe.
Ok, era proprio il caso d’agire.
Sorridendo ebete alla compagnia di fumatori mi rialzai, soddisfatto e con l’autostima alle stelle. Quelli mi fecero solo un cenno d’assenso, compiacenti, comprendendo le mie intenzioni.
Quindi mi diressi verso il bancone, dove le mani svelte della mia preda stavano riordinando bicchieri scheggiati.
Mi fermai davanti a lei, scostandole con una mano una ciocca di capelli dagli occhi truccati, e la sfidai con lo sguardo. Ricevetti in risposta un impercettibile cenno del capo, e mi sembrò proprio un segno d’intesa. M’incamminai. La vidi con la coda dell’occhio sussurrare qualcosa alla cameriera.
Poi uscii dal locale, e le due gnocche scomparvero dalla mia vista.
Andai in un vicolo attiguo, stretto, buio e sporco. Attesi qualche minuto, fumando una sigaretta che avevo fregato abilmente alla gang del cilum.
Poche boccate e la splendida silhouette della barista si stagliò in penombra.
«E la tua amica?»
«Non le andava, stasera. Ha le sue cose.»
«Come se fosse un problema. Be’, almeno tu fammi divertire…»
La voltai bruscamente, prendendola contro il muro, a pecora.
Glielo spinsi dentro così forte che i suoi gemiti violarono il silenzio. La sua fica aveva davvero dato un senso a una serata altrimenti povera di stimoli. Fianchi stretti, un bel culetto, e capelli neri come la notte… masturbandomi non avrei potuto immaginare di meglio.
Urlava, la gran porca. Ed io godevo come solo un dannato può fare, godevo la più bella delle torture.
Prossimo al culmine, la girai e la feci inginocchiare, arpionandole i lunghi capelli corvini e il viso con violenza: doveva bermi, bermi fino all’ultima goccia… .

Ero così succube della voracità delle sue labbra che non mi accorsi del rumore di passi alle mie spalle, sempre più vicini.
Improvvisamente sentii uno strattone, la bocca umida della ragazza scivolò via, e le mie braccia vennero costrette a tendersi verso il muro. Lo sconosciuto mi puntò un coltello alla gola.
La ragazza cacciò un urlo, stavolta non di piacere. Corse verso il bar senza voltarsi, ancora mezza nuda, lasciandomi lì, col cazzo in tiro, insoddisfatto, in balìa di una lama fredda.
«Mi sono già rasato stamattina, stronzo»
«Che maniere! E io che ti ho anche lasciato prendere una delle mie sigarette…»

Uno della gang del cilum. Il ragazzo a cui credevo d’aver sgamato una sigaretta, senza che se ne accorgesse. Alla fine, è davvero tutto un do ut des.
Ci finii io a novanta, stavolta. Non mi opposi. Tutto sommato, quella situazione era piacevole. Un altro stimolo nuovo, la serata stava decisamente migliorando. Avevo ancora l’erezione, quando sentii qualcosa di umido strisciarmi tra le cosce. Il ragazzo si stava impegnando in un abile rimming. Pensai che ci sapesse davvero fare, con la lingua, lo sconosciuto. Non mi resi immediatamente conto che quel delizioso intermezzo presto sarebbe mutato in un violento sesso anale.
Be’, che figata.
Stavo quasi per pregarlo di far presto, perché lo desideravo, desideravo davvero il suo cazzo, ma lui non attardò molto ad accontentarmi. Appena lo sentii entrare, l’orgasmo si fece nuovamente vicino. Pericolosamente vicino. L’intenso piacere si mischiò al cieco dolore e al freddo della lama, che avevo ancora puntata addosso. Stavo davvero godendo come un dannato. Come solo un dannato può fare.
Quello era il mio paradiso paradossale, il mio mondo perfetto.

Venni. O forse morii, non saprei dirlo.
L’unica cosa certa è che un rumore metallico, fastidioso ed insistente, mi riempì la testa, e non sentii più nient’altro. Né piacere, né dolore. Né dannazione.
Era diverso da quelli uditi fino a quel momento: sirene dell’ambulanza, gemiti, altre trombate in altri vicoli, forse orge, stupri, scambi di droghe, omicidi. Un contesto di risate sguaiate.
La normalità, insomma.
Ma quello era un suono estraneo, anomalo, davvero irritante…

Mi svegliai come è prassi alle 7.00 a.m. di Martedì 10 Novembre 2020: il trillo dell’apparecchio cantilenava la data del giorno. La luce mi investì il viso, quasi accecandomi.
Gettai un assonnato sguardo al pannello fissato alla bianca parete della stanza: secondo la tabella di marcia avrei dovuto di lì a poco fare una doccia, vestire la divisa dell’università, affrontare la frequenza obbligatoria delle lezioni. Mangiare tassativamente alle 13.00 p.m., trattenermi dall’andare ai servizi fuori orario stabilito. Evitare il turpiloquio. Astenermi assolutamente dal sesso. Sperare di sposarmi un giorno, con una ragazza pia e perbene, fingere che l’omosessualità non esista, fingere che l’inferno non esista. Comportarmi come si addice a un ventenne timorato di Dio, quindi studiare e cenare.
Ecco quello che la società aveva deciso per me fino alle 9.00 p.m. di Martedì 10 Novembre 2020, fino cioè all’ora concessa al sonno.
Che giornata del cazzo: per fortuna, avevo appena fatto uno dei miei sogni migliori.